Pietro Gianolli, segretario del SEV in Ticino da 22 anni è impegnato anche nell’ambito delle Officine FFS di Bellinzona. Una lunga e importante esperienza, la sua, della quale vogliamo approfittare per comprendere la condizione sindacale attuale.
D. Il sindacalismo elvetico, in particolare nelle sue correnti principali, che voi in qualche modo riassumete, si sviluppa sull’arco del Novecento per professionalizzarsi nella seconda parte del secolo. Quali i vantaggi e gli svantaggi di una simile struttura, nella condizione socioeconomica attuale? Quali le sfide interne da affrontare?
R. Penso tu alluda alla struttura basata sulle “federazioni” che rappresentano le varie categorie professionali e che sono poi raccolte in seno all’USS. Il vantaggio di questa struttura è dato dalla possibilità di acquisire conoscenze specifiche dei vari settori, utili poi per trattare i problemi che sorgono sul posto di lavoro. Essa ha però anche limiti: per il lavoratore che, per un motivo o l’altro cambia settore di attività e che si ritrova a cambiare il sindacato di riferimento; ma anche per l’efficacia dell’attività che, a fronte delle conoscenze di cui dicevo, si ritrova frammentata nei vari settori. Secondo me, la “sfida” principale da affrontare deriva dalla sindacalizzazione dei settori da sempre trascurati dalla struttura sindacale e che hanno acquisito un’importanza vieppiù crescente. Alludo in particolare al terziario, con la vendita, ma anche con i servizi (amministrazione, finanza, assicurazioni ecc.). L’assenza dei sindacati in questi settori favorisce l’affievolirsi di una coscienza sociale, lasciando spazio a procedure di deregolamentazione sempre più marcate.
È una sfida che, su scala ridotta, viviamo anche al SEV: i sindacati dei trasporti hanno trascurato l’avvento del trasporto stradale, cresciuto vertiginosamente e privo di regole. Proprio questa mancanza di regole mette adesso sotto pressione le regole (anche lavorative) vigenti nei nostri settori.
D. In un momento di crisi e di ridefinizione del lavoro come quello che si sta vivendo da diverso tempo come a vostro avviso si possono costruire nuovi rapporti di forza con gli altri partner sociali?
R. In questo contesto, una maggior compattezza sindacale sarebbe senz’altro auspicabile. Sono convinto che un modello di sindacato confederale, come quello adottato in diversi stati, potrebbe aiutare, mentre ritegno (purtroppo) poco realista l’ideale di una confederazione unica, che del resto non trova riscontro nemmeno altrove.
D. La sensibilizzazione dell’opinione pubblica e la mobilitazione delle lavoratori e delle lavoratrici sono temi certo complessi, ma fondamentali per un sindacalismo efficace. Quali a vostro avviso le strategie possibili? Una migliore compattezza sindacale, un fronte unico, non sarebbe d’aiuto in questo senso?
R. In questo contesto, una maggior compattezza sindacale sarebbe senz’altro auspicabile. Sono convinto che un modello di sindacato confederale, come quello adottato in diversi stati, potrebbe aiutare, mentre ritegno (purtroppo) poco realista l’ideale di una confederazione unica, che del resto non trova riscontro nemmeno altrove.
D. Sempre sul tema della difficile sensibilizzazione, documentari sul mondo del lavoro, come 1 due 100 Officine di Danilo Catti, possono essere uno strumento utile alla riflessione, interna ed esterna al sindacato?
R. Ogni spunto che favorisca una riflessione critica sulle dinamiche imperanti nel mondo del lavoro sono benvenute.
D. Veniamo alle Officine. Quali sono gli insegnamenti e gli eventuali limiti dal punto di vista del sindacalista di un’esperienza come lo sciopero del 2008?
R. Gli insegnamenti sono diversi: il primo riguarda naturalmente la necessità dell’unità di lavoratrici e lavoratori per avere possibilità di vincere una simile lotta. Il secondo, nel senso di quanto detto fin’ora, riguarda la necessità di unire anche le forze delle varie strutture. Evidentemente, senza la forza di altri sindacati, di Unia in particolare, non sarebbe stato possibile gestire tutta la lotta come è stato fatto. Il terzo, il sostegno della popolazione, dell’opinione pubblica e, di conseguenza, della politica. Unendo questa alle risposte precedenti, vi è però anche una preoccupazione: il tutto sarebbe riuscito anche se non vi fosse stato un attacco frontale di tali proporzioni da parte delle FFS? Su tutto prevale però anche la fierezza e la soddisfazione di aver potuto partecipare e (spero) contribuire a questo movimento.
D. Infine, una vostra riflessione sul nuovo sistema salariale. Vale la pena avvertire il lettore che tale nuovo sistema ha messo in garanzia salariale più o meno l’80% dei lavoratori. In altre parole, una netta diminuzione di stipendio per la maggior parte delle persone e per chi raggiungerà le Officine come nuovo operaio.
R. Il nuovo sistema salariale è frutto di un compromesso tra la volontà delle FFS di applicare quelli che loro ritengono salari “di mercato” e la volontà sindacale di salvaguardare le condizioni economiche del personale. Un compromesso estremamente sofferto, le cui conseguenze sono state incancrenite da un’applicazione poco chiara e trasparente. Per chiarezza, e non per difendere il sistema, preciso solo che a livello nazionale, i casi di garanzia salariale legati al nuovo sistema sono il 29% (comunque molti). Parlare di netta riduzione di stipendio potrebbe risultare fuorviante, nel senso che nessuno percepisce meno di prima. Anche questa precisazione non è per sminuire la portata di questo compromesso, ma per evitare di suscitare indignazioni che poi potrebbero essere (troppo) facilmente sgonfiate dalla controparte.