Sarà la popolazione ad esprimersi sul futuro delle Officine di Bellinzona. Lo ha annunciato il 25 febbraio il Comitato delle Officine

di Françoise Gehring, Il giornale del Sindacato del personale die trasporti, 14 marzo 2019

«Sono passati 11 anni dal lancio dell’iniziativa popolare, corredata da circa 15 mila firme, e oggi ci vengono a dire che è superata. Senza avere l’onestà di riconoscere che in questi 11 anni abbiamo cercato in tutti i modi di trovare delle soluzioni». Lo storico leader dello sciopero Gianni Frizzo non le manda a dire. E non nasconde neppure la propria amarezza per l’epilogo delle Officine di Bellinzona prospettato dalla politica, chiusa nei suoi palazzi e nelle proprie certezze: «Molti deputati si sono espressi senza essere compiutamente informati sull’argomento. Per me è inconcepibile». E come non comprendere la profonda delusione di Frizzo, che interpreta una delusione corale; quella del comitato e delle maestranze. Come se questo Cantone volesse cancellare con un colpo di spugna – e di fatto lo è – il coraggio e la determinazione dei lavoratori e delle lavoratrici che hanno lottato per la salvaguardia dei posti di lavoro. Perché di questo si parla sostanzialmente: mantenere gli attuali posti di lavoro, «in un cantone – sottolinea il deputato Matteo Pronzini – che dei posti di lavoro ha bisogno come il pane». E Gianni Frizzo è stato molto preciso nel mettere nero su bianco le cifre di cui si sta parlando: a fronte degli attuali 500 posti di lavoro dedicati alla manutenzione (OBe, stabilimento di Pedemonte e Officina di Biasca), con le «nuove» officine i posti di lavoro saranno perlomeno dimezzati. «Di fatto – tuona Frizzo – non rimarrà più nulla di quanto viene fatto oggi alle Officine di Bellinzona. Non vogliamo che l’Officina venga delocalizzata senza un valore aggiunto e, soprattutto, senza che siano rispettati gli accordi sottoscritti in questi anni. Se le Ferrovie avessero presentato un progetto con delle potenzialità e senza ridurre la forza lavoro di oltre il 50% non avremmo forse avuto nulla da ridire. Ma allo stato attuale ci sono troppe incertezze: mancano sempre il piano industriale ed il business plan». Il sindacalista del SEV Pascal Fiscalini ha fatto inoltre notare che nei prossimi 10-15 anni si prevede un aumento del traffico ferroviario del 60-70%, in seguito all’apertura della galleria di base del Ceneri: «Le FFS che cosa fanno? Dimezzano i posti di lavoro alle Officine. Qualcuno ci dovrà spiegare secondo quale logica si compiono simili scelte». La strada del voto (cfr anche articolo a pagina 5) è dunque quella più coerente. «Le Officine – chiosa Frizzo – sono un bene collettivo. Un bene comune. Non possiamo permettere che sia un manipolo di politici a deciderne nel sorti». «Le Officine – rincara Matteo Pronzini – sono il simbolo delle coesione nazionale. E abbiamo diritto di rivendicare degli investimenti per il mantenimento dei posti di lavoro». Insomma il grido di battaglia all’ epoca dello sciopero «Resistere, resistere, resistere» oggi si traduce nella ferma volontà di non deporre mai le armi contro lo smantellamento dei posti di lavoro. Sottoporre il destino delle Officine al popolo «è pertanto un dovere» conclude Gianni Frizzo. Parola al popolo il 19 maggio.

Sostegno sindacale

Per il Sindacato del personale dei trasporti (SEV) e per il sindacato UNIA i posti di lavoro e il mantenimento dei posti di lavoro sono sempre stati al centro delle preoccupazioni. E sempre lo saranno, in un Cantone dove l’occupazione dovrebbe essere sempre una priorità. I due sindacati sostengono dunque l’iniziativa popolare «Giù le mani dalle Officine: per la creazione di un polo tecnologico industriale nel settore del trasporto pubblico» perché è l’unica via non solo per permettere la ripresa di tutte le attuali attività, ma anche per svilupparne di nuove nell’ottica dello sviluppo tecnologico-industriale.