Intervista a Ivan Cozzaglio
Primo firmatario dell’iniziativa popolare «Giù le mani dalle Officine: per la creazione di un polo tecnologico industriale nel settore del trasporto pubblico», Ivan Cozzaglio spiega perché ora la sola via percorribile sia quella delle urne, dopo che il Gran Consiglio si è espresso contro l’iniziativa.
di Françoise Gehring, Il giornale del Sindacato del personale die trasporti, 14 marzo 2019
L’iniziativa su cui il Ticino si esprimerà il 19 maggio 2019, contempla l’emendamento chiesto da Matteo Pronzini (e accolto dal Parlamento); il nuovo articolo 5 indica la possibilità di orientare il polo tecnologico sul modello di «centro di profitto con forte autonomia decisionale» (Unità di business strategica), come indicato dallo studio della SUPSI.
Con la consapevolezza di aver promosso un’iniziativa rivolta al futuro e tesa al mantenimento dei posti di lavoro, i rappresentanti delle maestranze si rimettono nelle mani della popolazione, che oltre dieci anni fa aveva sostenuto lo storico sciopero. Ivan Cozzaglio, primo firmatario, qualche sassolino dalle scarpe se lo tira fuori. «Mi hanno dato fastidio i commenti di diversi politici che si sono improvvisati esperti in manutenzione ferroviaria. Ancora più fastidioso e irrispettoso l’essere dipinti come persone retrograde, nostalgiche incapaci di vedere che il mondo sta cambiando e che la tecnologia evolve. In realtà nessuno di noi ha mai detto di voler continuare a fare delle manutenzioni di vecchio stampo e con metodi di lavoro vecchi. Perché mai un operaio non dovrebbe approfittare delle nuove tecnologie»?
Non è stato neppure apprezzato che «la politica abbia fatto da megafono ad Andreas Meyer e alle sue minacce di lasciare il Ticino se lo stabilimento di Castione non dovesse venire realizzato o se l’iniziativa dovesse essere approvata dal popolo». Altro rimprovero fuori luogo: il congelamento dell’iniziativa popolare. Ivan Cozzaglio ha dunque ragione di rinfrescare la memoria agli smemorati: «L’iniziativa è stata congelata nel 2014 quando si era trovato l’accordo per il Centro di competenze, pensato come controprogetto. Alla richiesta di ritirare l’iniziativa, abbiamo risposto di volerla solo congelare. E abbiamo fatto bene a seguire questa strada. Per noi il Centro di competenze avrebbe dovuto portare lavoro e aumentare i volumi di lavoro. Ma le cose sono andate diversamente: il centro non è mai decollato, i posti di lavoro non sono mai arrivati e la politica ha nicchiato. Oggi, grazie a quella saggia decisione, abbiamo potuto riattivare la nostra iniziativa. Che ora abbiamo deciso di portare alle urne» (cfr. articolo a pagina 4).
Nei dibattiti che si sono susseguiti a ritmo serrato, poche voci si sono in verità alzate per denunciare un aspetto centrale e dirimente: il mantenimento dei posti di lavoro, su cui sindacati e rappresentanti delle maestranze delle Officine battono il chiodo dai tempi dello sciopero. «In tutto questo infinito discutere sulle Officine – commenta Ivan Cozzaglio – pochissime persone hanno parlato dei posti di lavoro, preferendo disquisire sull’ubicazione. Tutti a parlare del mantenimento di 200 posti di lavoro dimenticando che ne vengono cancellati ben 250! Nessuno ha approfondito le lavorazioni che saranno previste nel nuovo centro e che cosa non sarà più svolto rispetto al lavoro attuale. Quei lavori che non faremo più non dipendono dai cambiamenti della tecnologia, ma da precise scelte delle FFS che hanno deciso di affidare alle Officine di Bellinzona solo la manutenzione del settore del traffico viaggiatori. In poche ma chiarissime parole: cambia l’orientamento strategico delle FFS e ciò ci fa perdere posti di lavoro».
Ma come è possibile chiudere gli occhi di fronte a quello che sarà uno smantellamento dei posti di lavoro, sacrificando di fatto una storica officina? È possibile se si considera esclusivamente, o prevalentemente, l’attuale ubicazione delle Officine di Bellinzona. «Inutile nascondere che il terreno che ospita le Officine – osserva Cozzaglio – fa gola. Si ha la netta impressione che diversi esponenti politici abbiano concentrato la loro attenzione sul principio di liberare il terreno che ospita le Officine. Terreno prezioso per la città di Bellinzona, su cui cominciare a schizzare appetitose strategie immobiliari. Quindi al centro della preoccupazione non il lavoro, bensì il terreno».
Ma Cozzaglio va oltre: «Probabilmente a molti farà anche piacere togliersi dai piedi un Comitato pugnace che da dieci anni obbliga la politica e le FFS a sedersi attorno a un tavolo per trovare soluzioni sul mantenimento dei posti di lavoro». E ad oggi non c’è ancora nulla di chiaro. «Le FFS hanno cominciato due anni fa a indicare la cifre di 200/230 posti di lavoro. Da subito abbiamo chiesto di illustrarci come arrivano a queste cifre e in base a che cosa. Stiamo ancora aspettando adesso. Ma la cosa che fa più rabbia è il continuo affermare di non volere dare le cifre per paura che vengano strumentalizzate. Intanto in gioco ci sono i posti di lavoro».
Decida dunque il popolo. «È vero che la situazione è mutata nel corso degli anni, ma affrontiamo questo voto popolare – osserva Cozzaglio – motivati, certi che il popolo ticinese saprà cogliere l’importanza delle Officine e dei posti di lavoro. Chiediamo insomma ai ticinesi e alle ticinesi – conclude – di rimettere la chiesa al centro del villaggio e di riportare la storia recente indietro di qualche casella, quando cioè la politica non ha avuto il coraggio di chiedere alle FFS più posti di lavoro e pretendere chiare garanzie sull’occupazione. Votare a favore dell’iniziativa significa ridiscutere non solo le sorti delle Officine, ma anche permettere di sviluppare un ragionamento sullo sviluppo industriale del Ticino. Vogliamo riportare al centro dei dibattiti di questo Cantone il lavoro. E le persone che vivono di questo lavoro». Alle Officine, così come altrove.