di Françoise Gehring, dal giornale del SEV 16 aprile 2014

Vale la pena battersi per le Officine, perché sono un bene comune. Ha ragione da vendere Gianni Frizzo nel perorare la causa di questo bene comune, difeso al momento dello sciopero da 400 operai e da un intero Cantone. Ora, con l’iniziativa popolare in votazione il prossimo 19 maggio, si tratta di scegliere di nuovo da che parte stare. Per noi non c’è dubbio: occorre stare risolutamente dalla parte dell’occupazione, di cui questo Cantone ha bisogno

Riccardo Petrella è indubbiamente un economista di visioni che si è occupato e che si occupa molto del bene comune come alternativa ad un’economia rapace e predatrice che produce disuguaglianze, esclusione, ingiustizia, sfruttamento degli uni sugli altri. Dalla rivista Le Monde Diplomatique è stato definito «un lanciatore di allerte e di idee che potrebbero cambiare il mondo». In una recente intervista in occasione dell’uscita del suo ultimo libro «Nel nome dell’ umanità» Petrella afferma che: «Il governo del mondo non è in mano a dei folli, ma a delle classi dirigenti che ormai da decenni non credono più ai diritti umani e sociali, ma al merito ed alla efficienza; non credono più al potere del popolo e dei popoli, ma solo a quello delle oligarchie; non più alla giustizia ma alla competitività e alla selezione, dove l’obiettivo è solo produrre ricchezza per il capitale investito».

Jean Tirole, premio Nobel per l’economia nel 201 4 e autore del volume «Economia del bene comune», scrive: «Tendiamo a dimenticare che in un mondo di libere imprese, si possono prendere in considerazione altri modelli, come l’impresa autogestita o la cooperativa». L’analisi della praticabilità di tali o di altre alternative porta ad esaminare i punti di forza e di debolezza della governance delle imprese.

Il terzo scenario proposto dallo studio della SUPSI «Gli stabilimenti industriali FFS di Bellinzona: potenziali di sviluppo in un’ottica di rilancio della politica industriale regionale», propone ad esempio l’alternativa del «Centro di profitto con forte autonomia decisionale». Ciò significa che da «rapporti prevalentemente di subalternità, si passerebbe a rapporti di collaborazione e a precisi piani operativi di sviluppo, condivisi e applicati attraverso una significativa delega di competenze decisionali alla direzione degli stabilimenti industriali di Bellinzona». Quindi modelli alternativi non solo esistono, ma sono pure possibili e praticabili. Del resto la ricerca del bene comune, come osserva sempre Tirole, non pregiudica soluzioni e non ha altro obiettivo se non l’interesse generale e collettivo. Questo, perlomeno, sul piano delle idee e delle concrete possibilità offerte da visioni economiche innovative.

È fuori di dubbio che le Officine di Bellinzona rappresentano un interesse generale e collettivo. Un bene comune, appunto, che va salvaguardato con risolutezza, non ipotecandone l’attuale forza occupazionale e le potenzialità future. Che potranno essere garantite solo mantenendo inalterati i posti di lavoro e garantendo una formazione continua per essere al passo con l’evoluzione tecnologica.

Con l’iniziativa popolare «Per la creazione di un polo tecnologico industriale nel settore del trasporto pubblico» in votazione il prossimo 19 maggio, si facilita la ricerca di un compromesso in cui la questione fondamentale e dirimente dell’occupazione, viene rimessa pienamente al centro delle preoccupazioni, peraltro sempre espresse inequivocabilmente da sindacati, commissione del personale e maestranze.

Come noto il progetto di Castione (quello che lega FFS, Cantone e Città di Bellinzona) prevede almeno il dimezzamento dei posti di lavoro e lascia molte zone d’ombra, anche perché tuttora non si conosce il piano industriale, pure chiesto invano e senza sosta dai rappresentanti delle maestranze. L’iniziativa popolare permetterebbe all’ente pubblico di rilanciare una politica industriale rivolta al futuro concentrandosi anche e soprattutto sulle prospettive occupazionali. Chiedendo di mantenere le attuali attività svolte all’Officina nell’ambito della manutenzione e di svilupparle ulteriormente aggiungendo «nuove attività, nuovi servizi, attività di ricerca ed innovazione nel campo della gestione e della manutenzione dei vettori di trasporto», l’iniziativa ha il vantaggio di inserirsi in modo complementare nel cosiddetto progetto di Castione. Contribuirebbe così a favorire una nuova ripartenza a favore di un ulteriore sviluppo industriale e produttivo dell’attuale Officina.

L’economista ticinese Christian Marazzi ha sempre sostenuto che le Officine di Bellinzona possono rappresentare un laboratorio per la creazione di occasioni di lavoro e di formazione. Ma bisogna essere propositivi.

Bisogna soprattutto crederci. Ponendo al centro il bene comune. Utopia? No davvero. Da anni il movimento per «L’economia del bene comune» propone un cambio di paradigma suggerendo un’alternativa concreta e praticabile per aziende di diverse dimensioni e forme giuridiche che vogliano convertirsi al bene comune. L’economia del bene comune mette al centro la dignità umana, l’equità, la solidarietà, la sostenibilità ambientale, la giustizia sociale e la cogestione democratica. «Profitto e crescita – si legge nel sito del movimento – sono consentiti e desiderati anche nell’economia del bene comune, ma non sono unico e primario obiettivo dell’economia».

Nei progetti delle FFS questo spirito non esiste. Esiste, questo sì, il trasferimento di un’attività che sarà ospitata «nell’officina più moderna d’Europa» e più vuota d’Europa, verrebbe da dire, visto che almeno la metà dei posti di lavoro andranno persi. Ed è proprio questo che si desidera scongiurare con l’iniziativa.