di Paola Casagrande*
Quale sarebbe lo scenario futuro delle Officine di Bellinzona se non dovesse essere accolta l’iniziativa “Giù le mani”.
Si assisterà allo sgretolamento integrale di una realtà industriale, patrimonio comune storico fagocitato da famelici appetiti imprenditoriali speculativi.
Così oggi come allora.
Si assisterà grottescamente all’attuazione dei piani originali, ossia la realizzazione dell’anelata speculazione immobiliare a Bellinzona ottenendo inoltre, quale risarcimento per gli undici anni di attesa, l’opportunità di raddoppiare l’affare con il progetto edilizio a Castione.
Così oggi in più di allora.
Con la pazienza di un batterio resistente che attende subdolamente una piaga in cui infiltrarsi per proliferare più “pandemicamente” di prima, ecco riapparire a sprazzi, dietro una cortina fumogena, uno dopo l’altro gli intenti che il non preventivato sciopero, all’epoca, aveva costretto a riporre nel cassetto.
Quatti quatti, silenti come un infido cancro, si è pazientemente atteso, e forsanche appoggiato, l’ascesa di quei personaggi politici in cui poter inoculare quelle cellule patogene in grado di moltiplicarsi esponenzialmente.
Il primo sintomo tangibile, probabilmente buttato là per tastare il terreno, lo si era riscontrato nell’esternazione durante la campagna elettorale per le comunali da parte di Mario Branda: “Spostare le Officine non è più un tabù…”. Disse e fece. O meglio, disse perché già aveva fatto.
Resta solo da sormontare l’incognita dell’iniziativa che, malgrado pressioni e promesse, non è stata ritirata ed è ora l’ultimo frammento che ostacola la chiusura dello stabilimento cittadino e il trasferimento delle sue attività in quel privato che nel 2008 ne aveva già brama. Visto che l’appetito vien mangiando… aggiungiamoci qualche portata: strutture nuove di zecca in una zona strategica con vincoli insormontabili per vie canoniche per qualsiasi impresa privata. Questo è quanto si intuisce dalle dichiarazioni di coloro che hanno sottoscritto quella sciagurata dichiarazione d’intenti, partorita da segrete trattative parallele a quelle ufficiali a cui i legittimati rappresentanti delle maestranze hanno per oltre dieci anni partecipato.
Oltre al danno anche la beffa!
È ormai diventato un mantra, per giustificare la scelta fatta, argomentare che le Ffs non costruiranno una nuova struttura investendo milioni, la cui la metà offerta dalla collettività, con l’intenzione di chiuderla. Certo che no, lo fanno con l’intento di una vendita immobiliare. Si espropria e si acquista l’area per pochi spiccioli, si realizza l’edificio… e il menu dalle infinite portate è servito.
Il ragionamento è tanto semplice quanto logico. Se un privato non può edificare su una appetibile zona agricola per di più protetta, a espropriare e cambiare destinazione al terreno ci pensa un’azienda pubblica “amica”. E lo fa con la complicità di una politica ormai socialmente alla deriva.
Ffs recidive, per giunta! Il sedime delle attuali Officine le Ferrovie lo avevano ricevuto in dono e oggi sognano esorbitanti profitti immobiliari. Il prezzo della superficie di Castione è praticamente simbolico e avranno la facoltà di rivendere a prezzi di mercato.
La Storia ricorderà la lungimiranza della politica che ha dato origine alle Officine e la grettezza dell’altra politica, quella senza pudore e senza vergogna.
Fantapolitica? Forse, ma non troppo!
Per continuare sulla strada tracciata dallo sciopero, per il rispetto che dobbiamo alla sofferenza degli operai che furono in prima linea, per non calpestare quanti hanno osato opporsi con dignità, per difendere il diritto al lavoro… per la democrazia.
Un Sì senza se e senza ma il 19 maggio!
*pubblicato su Ticinonews il 7.5.2019