Una breve riflessione su lavoro interinale e produttività (di Spartaco Greppi)
Dal 2004, il personale occupato presso le Officine delle Ferrovie Federali Svizzere (FFS) di Bellinzona con contratti temporanei è aumentato considerevolmente e questa tendenza non sembra arresstarsi nemmeno dopo il 2008. Si tratta del riflesso di una profonda trasformazione in atto orientata ad accreditare una presenza ormai fisiologica e strutturale, non più semplicemente transitoria e tutto sommato eccezionale, nella composizione occupazionale delle Officine.
Fondamentalmente vi sono due strategie che spingono un’azienda ad assumere manodopera attraverso l’intermediazione di un’agenzia di lavoro temporaneo (interinale).
La prima risponde al bisogno delle aziende di adeguare rapidamente il numero di collaboratori in funzione delle esigenze produttive (la cosiddetta flessibilità numerica esterna). Tale strategia può essere perseguita meglio se l’azienda opera con lavoratori soggetti a procedure semplificate di licenziamento e assunzione, come è il caso dei lavoratori interinali.
La seconda traduce la necessità delle aziende di monitorare i lavoratori prima di assumerli su base contrattuale più stabile che, solitamente, implica maggiori impegni finanziari per le aziende.
L’adozione di entrambe queste strategie permette di abbattere i costi del lavoro e di mantenere elevata la capacità di autofinanziamento delle aziende.
Un uso «moderato» del lavoro interinale è probabilmente in grado di migliorare la flessibilità numerica e perciò la produttività, indipendentemente dall’obiettivo di monitorare i lavoratori, mentre il ricorso massiccio e prolungato al lavoro interinale ha solitamente come obiettivo principale quello di abbattere i costi aggirando il diritto del lavoro, ma a scapito delle relazioni interne tra lavoratori e perciò, in ultima analisi, della produttività. I lavoratori interinali sono generalmente meno qualificati e meno tutelati e rappresentano una potenziale minaccia per i lavoratori già occupati con contratti più stabili. Essi tendono perciò a ridurre il capitale umano e sociale dell’azienda.
Considerare il lavoro un costo anziché un investimento in capitale umano e sociale giova all’azienda nel breve periodo, ma potrebbe inibire la sua capacità di sviluppo futuro.
Nelle Officine FFS di Bellinzona il lavoro da smaltire è elevato e tale rimarrà anche in futuro. Questo, insieme alla concreta possibilità di acquisire nuovi clienti in un mercato europeo della manutenzione in crescita e alla ricerca di prestazioni di qualità, dovrebbe spingere l’azienda ad assumere personale stabile e a tempo indeterminato, anziché ricorrere ai servizi delle agenzie di lavoro interinale. Se ciò non avviene è perché la strategia delle FFS è innanzitutto quella di tenere basso il costo del lavoro senza considerazione degli effetti sulla produttività e sulle potenzialità di espansione dell’azienda.
Nel lungo periodo, diciamo nel corso di una generazione, l’aumento della produttività in molti settori di attività dipende in buona parte, anche se non esclusivamente, dalla capacità della spesa pubblica di generare effetti esterni positivi attraverso il sistema formativo e quello della ricerca e sviluppo. Ma tale capacità di intervento comporta l’attivazione di risorse che una strategia aziendale di breve periodo, rinforzata dagli interessi delle agenzie di lavoro interinale, non è portata a sostenere. Vi è quindi una tensione tra un ruolo macroeconomico del sistema di educazione e le sue modalità di finanziamento, in particolare quelle attraverso la fiscalità. Oggi, purtroppo, gli Stati tendono ad attirare e gestire i fattori produttivi mobili (risparmio, produzione, forza lavoro qualificata) nell’ambito dell’economia globale e in una prospettiva di breve periodo. Sarebbe invece strategica¬mente cruciale promuovere la formazione, la ricerca e lo sviluppo in quei settori portati allo sviluppo sostenibile e all’incremento della qualità di vita in grado di fare da leva alla creazione di posti di lavoro.