(di Mauro Guindani) apparso nel Corriere del Ticino del 14.4.2011
In periodo post-elettorale, il titolo di questo articolo potrebbe dare adito ad associazioni fuorvianti: non è certo questa la mia intenzione. Nonostante le urne elettorali non fossero ancora chiuse, il pomeriggio di sabato 9 aprile non c’era il minimo odore di propaganda elettorale alle Officine di Bellinzona, durante la festa per il terzo anniversario dell’azione “Giù la e mani”. Pur trattandosi, beninteso, di una manifestazione eminentemente “politica”, nel vero senso di questa parola che fa riferimento a quella “polis” di cui tutti dovremmo sentirci responsabili. Visto che, a conti fatti, più della metà della nostra popolazione aveva deciso di non andare a votare, non c’era certo da aspettarsi una gran folla di cittadini responsabili a una manifestazione che voleva ricordare un periodo (e son passati soltanto tre anni) in cui il nostro Paese, compatto, si era dimostrato all’altezza della situazione. Ma c’è chi non demorde, chi non depone pigramente le armi lasciando ad altri il compito di decidere delle sorti del proprio paese. Delegare con un voto è, in sostanza, facile. Ancora più facile è non delegare del tutto lasciando che le cose vadano per il loro verso. Più difficile è invece essere presenti sul territorio là dove le cose accadono davvero. E questi non sono i comizi elettorali; sono le azioni concrete.
È per fare il punto di una situazione che aveva visto il Ticino, per una volta nella Storia, sollevarsi compatto in difesa dei propri interessi e della propria dignità, al di là di interessi partitici o puramente sindacali, in un momento straordinario in cui il Cantone sembrava rifiorire di una nuova vita, che quella manifestazione, come ogni anno da allora, era stata indetta. Un trecento persone hanno risposto a quell’appello discreto, soffocato dai rumori di grancassa delle elezioni, e va bene anche così: perlomeno quelle c’erano. Come allora c’era aria di festa in quella pittureria chiara e spaziosa, sempre ancora corredata dei simboli dell’azione concreta: i vestiti da lavoro appesi, i cartelli di solidarietà pervenuti dal di fuori, i disegni dei bambini col motto “giù le mani dal mio papà”, nessuna bandiera di partito. Una festa non chiassosa, ma serena e sotto il segno della speranza: ad aprire la manifestazione è l’ormai nota canzone scritta allora all’occorrenza, e tutti si alzano in piedi in silenzio. Non era vuota retorica; era partecipazione sincera. Al tavolo degli oratori (davanti, la bandiera – rossa – col trenino giocattolo e la scritta “giù le mani”; dietro, lo striscione – blu – con il simbolo femminile e la scritta “l’altra metà della resistenza”) stava seduto al completo quello che ancora insiste ad autodefinirsi “comitato di sciopero”, nonostante le istanze ufficiali lo vogliano trasformare in una ben più blanda “commissione del personale”, nell’illusoria convinzione che lo sciopero sia ormai da tempo finito e la faccenda risolta. Niente, in realtà, è ancora risolto, e fa bene il comitato vigilante dell’associazione Giù le mani a fare sempre ancora uso di quella parola minacciosa.
La posta in gioco è quell’ormai famoso centro di competenze industriali, sostenuto da 15000 firme di una petizione proposta dal comitato, passata poi al vaglio dello studio della SUPSI, sottoposta a un recente “studio di fattibilità” della stessa e che rischia, come sempre accade in questi casi, di sfuggire dalle mani dei diretti interessati (la popolazione del nostro Cantone) per finire in quelle di possibili speculatori d’oltre Gottardo. È Gianni Frizzo a prendere la parola per primo, sottolineando fin dall’inizio il carattere apartitico della manifestazione e definendosi ben felice di non far parte del gioco elettorale. Quello che segue nella sua relazione è il racconto di una sequela di fatti nelle trattative che hanno davvero dell’incredibile. Nonostante il fatturato delle Officine sia in continua crescita, nonostante commissioni importanti piovano di continuo richiedendo una risposta immediata, non c’è verso che la direzione delle FFS prenda sul serio queste possibilità di sviluppo industriale nel nostro Cantone, impedendo persino (chissà poi per quali ragioni) una collaborazione con le strutture di Chiasso. Che le FFS facciano gli interessi di una politica federale a nostro sfavore passi. Ben più preoccupante è che il nostro Governo non si opponga a questo gioco, lavandosene in sostanza le mani. Continue richieste da parte del comitato al Governo di essere messi al corrente degli sviluppi riguardo al Polo Industriale non hanno avuto nessuna risposta e (sembra una beffa ma è realtà), è dalle pagine di questo giornale che il comitato è venuto a sapere di un concorso pubblico per la realizzazione dello stesso indotto dalle FFS!
Fare gli interessi del Paese sfruttandone al massimo le risorse presenti è il compito di un Governo. Fra le trecento persone presenti sabato alle Officine i rappresentanti del governo, di qualsiasi partito, uscenti o aspiranti, non c’erano. Quelli che solo tre anni fa erano stati costrettti a furor di popolo a salire sul palco prendendo posizione (essi stessi sorpresi di trovarsi per una volta tutti d’accordo) brillavano ancora una volta per la propria assenza, troppo preoccupati, probabilmente, a far raccolta di voti.
Ma il lavoro di vigilanza del Comitato Giù le mani continua. Il prossimo appuntamento è la tavola rotonda di maggio. Ne vedremo ancora delle belle, che il Governo lo voglia o no.